Trieste, 1 aprile 2019
Panoramica della Cresta di Palaseccha ripresa dalla Cima del Monte Sernio 2187 m.
… e così, e senza darmi furia, anno dopo anno sono tornato in tutte le stagioni per salire le quote importanti della Cresta di Palasecca, e finendo con la salita estiva della quota 1754 m.
Solo che queste salite le riportavo man mano anche sul Libro delle Salite del Gruppo Rocciatori.
Così un giorno mi telefonò l’amico Armando Galvani perché interessato a conoscerle dopo la lettura della vecchia Guida delle Alpi Carniche d’Ettore Castiglioni; e vista la mia attività sul Libro del Gruppo Rocciatori, voleva che andassimo a fare la traversata della Cresta della Palasecca in due volte; e iniziando dal Monte Palavierte 1785 m.
Così quella mattina posteggiammo la sua macchina al Pra di Lunze disabitato; e senza perdere tempo prendemmo il sentiero conosciuto e che senza difficoltà lo percorremmo fino in Cima del Monte Palavierte 1785 m.
Lassù cicola e ciacola lo convinsi anche di salire il Cuel Mauron 1814 m, la quota più alta della diramazione, e anche per fare il punto della situazione senza andare alla cieca.


Il versante Nord della diramazione in parte trattata nei miei racconti.
Lo stesso dalla Cima non ci sembrò tanto chiaro il percorso per raggiungere la cresta della quota successiva; e necessariamente dovremmo scendere per il canale da me percorso in salita per scendere nella radura sospesa; e poi trovare di riprendere la cresta della successiva quota 1733 m; e via.
Solo che la radura era coperta da bassa vegetazione e anche fitta mugheta dove il procedere costava fatica, e così all’imbocco del primo canalino scendemmo in versante Val Glagnò.
La fortuna volle darci una mano perché subito sotto il canalino sfociava nel principale dal fondo mobile, e che risalimmo aiutandoci con i rami dei mughi, e così fino sulla cresta dove ognuno scelse il suo percorso in ripetuti sali e scendi per le altre possibili quote, e fino a vedere sottostante un ampio canale detritico che punta i pascoli.
Sì e no; e così decidemmo che per quel giorno bastava; e scendemmo per i fitti mughi a raggiungerlo: 8 giugno 2000.
Panoramica
Piantina
La seconda volta.
Meno di quattro mesi, ed eravamo in Gita per le Pale del Laris 1906 m IGM, la più alta del Gruppo; e questa volta iniziando dagli Stavoli Cjampes 801 m, che quella mattina raggiungemmo con l’auto.
La Cresta di Palasecca
Così seguimmo il sentiero per il Rifugio Monte Sernio, e fino a trovar conveniente continuare per il canale di Sella di Pra Daneit 1720 m.
All’altezza della Torre di Pra Daneit volgemmo a destra, e traversando sotto la Cresta omonima, e per il mio itinerario fino alla Forcella senza quota che separa il Monte Sernio dalle Crete di Palasecca.
Poi a seguire per il percorso conosciuto fino oltre la mugheta che passammo indenni grazie ai rami spezzati; e salutato il masso bianco, e veloci ognuno per la sua via in Cima alla Pale del Laris 1906 m IGM: 16 settembre 2000.

Panoramica completa delle Pale del Laris.
Solo la sosta per osservare anche la Cresta sottostante che dovremmo affrontare, e iniziammo la discesa per la parete appena salita, e a seguire solo un tratto per il ghiaione per poi rimontarlo a destra per raggiungere l’inizio della Cengia da me percorsa.
Il tempo per vederla e fare il punto, e che lui andrà da primo; e via.
La quota 1888 m IGM.
Così, e con lui davanti, la percorremmo senza soste fino alla vista della quota 1888 m IGM, e che speravo di tornarci con lui.
Invece non la saliremo perché già salita; ma tenteremo la quota 1750 m IGM separata dalla Forcella conosciuta.
Una volta la sotto Armando per sicurezza preferì procedere in cordata, e attaccò la stretta e corta parete a diedro incombente con alcuni mughi, e dove preferì far terrazzino assicurato a questi. Una volta riuniti precedemmo in conserva per la friabile cresta, e così fino al punto più alto: 1750 m 16 settembre 2000.
Sosta breve, e il tempo per costruire un modesto ometto; e iniziammo la discesa per la Cresta Sud-Est che non era il massimo per la friabilità, e fino a un intaglio.
Così dall’intaglio potei osservare la vasta parete in pieno sole che avevo fotografato nell’ombra scura prima di rinunciare il tentativo; e che poi mi riuscì invece la salita della quota 1888 m IGM.
Riprendemmo la traversata per la friabile cresta fino a una biforcazione.
Armando preferì quella a sinistra che a lui sembrava promettere, e più avanti perdendo quota entrammo nella fitta mugheta. Così, e dopo alcuni sali e scendi decidemmo di tirarci fuori interrompendo l’impresa.
Così scendemmo a destra per la parete un poco de per qua e un poco per de la cercando dove erano meno fitti, e fino a vedere sottostante un largo canale dal suolo coperto di detrito con ben calcato il passaggio di camosci.
Sì e no; e decidemmo che per quel giorno poteva anche bastare; e iniziammo la facile discesa.
La Cresta percorsa in quella giornata.
Tracciato
Piantina
Una sera in Sede della XXX Ottobre avrò trovato la Tavoletta IGM datata e in bianco e nero comprendente anche il Gruppo del Monte Sernio; e con la Creta della Palasecca e la diramazione incombente sul Torrente Variola che desideravo visitare; e il permesso di farmi la copia.
Sì; e che subito la frazionai per poi colorare le curve di dislivello delle copie ingrandite alternando quattro colori per migliorarne e la lettura.
Solo che ero uso a non prendere nota e data delle mie escursioni senza aver raggiunto una Cima.
Non così nel quaderno della mia attività dell’anno 1993, perché in altra occasione ho aggiunto solo:Gennaio1993: la prima volta nella Val Variola.
Piantina
… e così quella mattina con la mia Fiat 500 dalla frazione di Campiolo presi a destra, e per la prima volta, la strada asfaltata e presto stretta, e fino a trovare uno spazio per posteggiare perché non si sa mai; e per scrupolo anche la girai pronta in posizione di partenza.
Così rimontando la strada a piedi potei rendermi conto a cosa andavo incontro, e fino in uno slargo delimitato da muretto, e con l’impianto della teleferica; e non mi resto che ritornare sui miei passi fino a trovare, non segnalato, l’inizio del sentiero per scendere nel letto del Torrente Glagnò.
Sì; un largo sentiero con qualche gradino, e nei tratti ripidi ed esposti anche la ringhiera; ed ero sul letto del Torrente Glagnò percorso dalla mulattiera di Guerra che inizia dalla Frazione di Campiolo; per l’appunto.
Il primo tratto sotto pareti verticali; poi per l’ampio letto del Torrente Glagnò fino a trovare un ponte per passarlo; e a seguire per il calpestio raggiunsi l’inizio della mulattiera con qualche gradino ma in ottimo stato anche se con molti tornanti, e dopo un tratto piano un ponte di legno stagionato per superare una forra; e che un giorno lo trovai sostituito con uno metallico, e quello di legno subito sotto nella forra.
Ancora alcune svolte e uscì sul pianoro erboso color oro, e dove più avanti risaltava l’abitato di Stavoli m 567 nel silenzio assoluto.
Così rimandai la fotografia perché ancora distante, ma no allo spettacolo del solco della Val Glagnò delimitato dal Cuel de la Ruvis e Cimadors Basso.
Preso quota i pascoli nei colori autunnali, e l’abitato di Stavoli, sovrastati dal Monte Riquini 1267 m.
Prima d’entrare nell’abitato c’era la Chiesetta tutta bianca; e così gran parte delle costruzioni che osservai mentre attraversai l’abitato quasi integro nonostante il recente terremoto.
Sì; e nell’attraversarlo non incontri nessuno; e anche prestando ascolto, non udì il minimo rumore, e così per la stradina in discesa fino all’ultima casetta che aggirai a destra.
Subito oltre in uno slargo c’era la fontana in parte coperta di ghiaccio, il rubinetto con un filo d’acqua, e la grande vasca rivestita di ghiaccio; e persi solo il tempo per riempire la mia boraccia; e via per la stradina dal fondo naturale con buon passo e in salita per aggirare a destra la quota 665 m del Lubiton (Glubiton IGM).
Poi a seguire in discesa perdendo quota, e sul dritto prestando attenzione per individuare nell’erba alta e gialla la traccia del sentiero riportato sulla detta piantina per poi tentare la salita della quota più alta del Cuel de la Ruvis 1511 m.
La prima individuata sul piano non mi convinse; mentre la successiva al termine di un tratto ripido mi sembrò quella giusta, anche se sopra il bosco non spuntava nessuna quota.
Solo che procedendo nell’erba folta c’erano più tracce, e non mi restò che continuare a vista puntando a sinistra il limite roccioso non coperto da fitta vegetazione.
Sì; e più avanti trovai anche del calpestio sottostante la parete laterale, e fino alle prime difficoltà della parete di fronte. Sì e no; e alla possibilità di continuare sottostante a questa, preferì rimontare il canale diedro iniziale tra le due, per poi rimontare la prima più facile e corta parete laterale; e fino a uscire sull’ospitale cresta con la parete verticale di fronte a chiuderla; e che delimita l’alveo del Torrente Variola.
Così la percorsi quasi turisticamente per andare a vederlo.
Più avanti ancora il Monte Riquini m 1267 m.
Ancora un tratto molto ripido per rimontare la dorsale che copriva quello che poi inaspettato l’avevo di fronte.
Niente; ormai il mio interesse era rivolto al solo Campanile; e che non era nemmeno rilevato sulla copia della piantina IGM che avevo con me.
Capi subito che non c’era il tempo per tentare la sua salita; ma sì almeno trovare il percorso per un futuro approccio.
Così percorsi di buon passo la cresta a tratti innevata con la speranza di trovare la possibilità per scendere nell’opposto sottostante vallone; niente.
Era la giornata giusta perché nel secondo tentativo per scrupolo scesi in uno slargo della cresta con alcuni fitti alberelli con le foglie nei colori autunnali che coprivano la bassa parete, e che istintivamente gli spostai.
- Orpo! Sì, perché quei rami ostacolavano l’accesso a qualche possibile passaggio.
Così allertato, non mi restò che spezzare i rami che nascondevano l’entrata di uno stretto canalino col fondo innevato che spariva nelle tenebre.
- Orpo! Non ci pensai due volte; e iniziai a scenderlo mentre le due pareti man mano mi sovrastavano; e poco convinto prestando attenzione sul fondo innevato.
Solo che la parete a sinistra termina circa un metro prima della fine del canale; e dandomi anche la possibilità di passare per quel varco, anche se dovrò aprirmi il passaggio tra i mughi infestanti.
Non prima di fotografare il canale dal fondo.
Poi cercai di liberare il passaggio spezzando i rami dei mughi; ma erano troppo resistenti per me.
Perso per perso accettai la sconfitta; ma promettendomi che sarei ritornato con una sega.
Restava canalino innevato; e che lo rimontai lentamente.
La quota 1754 m
Il Cuel de la Ceit 1511 m IGM
Una volta sulla Cresta, e trovato il punto giusto, scattai le fotografie dello spettacolo impensabile di quei Monti a me sconosciuti.

Lo stesso vale anche per la Cresta del versante Sud del Cuel de la Ceit.
La restante discesa non ha lasciato ricordi.
Piantina
Il ritorno
Non mi ricordo se nello stesso inverno o il successivo, ma sì che decisi di ritornare a Stavoli per tentare la Cima mancata contando sulla conoscenza di gran parte del percorso.
Quella mattina non trovai una buona giornata, e le previsioni davano neve sulle Alpi Giulie, e pertanto nell’abitato di Stavoli nessun rumore o segno di vita.
Così in quel silenzio e solitudine e conoscendo l’approccio alla montagna, mi convinsi a tentare un altro approccio alla parete. Così superata la quota 665 m. del Lubiton (Glubiton IGM), e una volta sceso sul piano senza pensarci due volte traversai il pianoro d’erba giallo oro iniziando la salita a vista del pendio boscoso senza incontrare tracce di passaggio, ma sì la neve inconsistente, e giusta per rimontare il bosco di latifoglie a vista e più avanti anche di aghifoglie e dei tratti di parete.
Sì e no; e iniziai a rimontarli prendendo quota.
Solo che procedendo queste pareti sono sempre più alte e verticali e così fui costretto a traversarle man mano a destra.
Il bel gioco durò poco perché quel tratto di parete era di un avancorpo in alto staccato dalla parete del Monte.
Niente; e la forzata sosta la utilizzai per mangiare qualcosa.
Intanto sulle Alpi Giulie stava nevicando come da previsioni; e il Monte Plauris 1958 m di fronte beneficiava di un pallido sole, e tutto in pace e silenzio.
Così ritardai la mia discesa.
Il ritorno, e il tentativo avventuroso.
Può essere stato alla fine dell’inverno successivo scarso d’innevamento; e che finiva con belle giornate; e le condizioni giuste per ritentare la salita del Campanile senza quota, nome e storia alpinistica.
Quella mattina al posteggio per le macchine non ero il solo, e così per il sentiero in discesa che in salita.
Sì; erano le famiglie di Stavoli in visita alle loro proprietà dopo la brutta stagione, e che man mano sorpassavo salutandole.
Così, e sempre meno abitanti fino all’abitato di Stavoli, e dove qualcuno già abitava da più giorni.
Una volta fuori del paese non incontrai nessuno, e così di buon passo passai per la sella 665 m del Monte Lubiton (Glubiton IGM) e in discesa, e poi sul piano, a prendere la traccia sul prato giallo oro fino sotto l’incontro della parete del Costone e dell’Avancorpo che lo rimontai senza esitazione.

Così dal Costone raggiunto fotografai nuovamente le Cime senza quota, nome e storia alpinistica.
Non persi altro tempo, e via veloce per la piatta cresta, e fino a scendere nella crepa con l’entrata del canalino.
Sì, e anche poco innevato a confermare lo scarso innevamento che altrimenti avrebbe presentato difficoltà e fatica nel mio avvicinamento; e che poi lo scesi senza difficoltà.
Così forzai il passaggio nella mugheta spezzando alcuni rami, e fino a formare un varco per passare anche se non era il massimo.
Solo che una volta fuori dai mughi, e sulla parete sottostante, mi sembrò troppo difficile traversare a destra, e senza pensarci due volte scesi per la parete sottostante che non era facile, e anche cercando per dove scendere; e più sotto tra la folta vegetazione.
Poi man mano più facile, dove mi resi conto d’aver sbagliato a scendere troppo perché mi conveniva tentare prima il traverso a destra.
Niente; tanto tornerò un’altra volta perché sbagliando, s’impara; anche se non sarà stato proprio così; e avendo tempo, iniziai la lenta e calcolata discesa fino sul facile coperto di foglie secche.
Solo che vedevo i Monti ancora illuminati, e guardandomi intorno ebbi il desiderio di rifare quanto fatto nella discesa; e passare per il canalino perché non si sa mai.
Sì e no; e tornai sui miei passi seguendo le foglie smosse e più sopra i rami spezzati, e sui facili salti rocciosi anche ricordandomi dei particolari congratulandomi della scelta; e così fino sotto le pareti senza punti di riferimento.
Sì; anche perché non mi ricordavo più sopra per dove ero passato; e guardandomi intorno che il sole era prossimo al tramonto.
Niente ritiro perché dal punto raggiunto della parete mi sembrò più conveniente poggiare a destra, e dove la parete man mano perde quota per poi montare sul costone per poi scenderlo.
Una volta la sotto, anche se strapiombante, mi sembrò fatta; restava solo trovare la parete o il camino facile per passare; e via.
Così continuai il traverso, e provando più volte, e fino a passare per uno spacco a diedro: – Xe fata!
Sì; ma anche presto sera; e rimontato il costone, iniziai la discesa per la dorsale erbosa, anche se non ero convinto di farcela perché sempre più ripido, e più sotto affioranti i primi tratti rocciosi.
Ferma tutto; e per non rischiare non mi restò che prepararmi al bivacco; e sulla linea della dorsale più solatia e asciutta.
Ormai al crepuscolo restava ancora la raccolta dei rari rami dei mughi per isolarmi dal suolo; e fu notte.
Solo che non ricordo se era già sorta luna non ancora piena; ma si seduto sul mio sacco vuoto con sottostante i rami di mugo a consumare la frugale cena; e poi rannicchiato aspettando il giorno.
Solo che la posizione rallentava la circolazione del sangue alle gambe che pativano il freddo.
Così provai a stendermi con il risultato di esporre tutto il corpo al freddo.
Niente; e tornai a sedermi sui rami dei mughi poggiando la patella a proteggere le cosce; mentre le parti inferiori delle gambe con lo spesso retro del sacco.
Gli occhi coperti dal berretto di lana, e che tra un pisolino e l’altro, gli scoprivo per vedere il percorso fatto dalla luna e dai due Carri con la Stella Polare; e più volte e fino al chiarore dell’alba; e per essere pronto alla discesa al sorgere del sole, ero già in attività con alcuni esercizi ginnici per scaldare e sciogliere i muscoli; e tanto che una volta arrivata la luce del sole sul costone, iniziai la sua discesa per i ripidi verdi presto con rocce affioranti.
Sì; e me lo aspettavo il rombo familiare del motore d’elicottero; e che passata la pineta che lo nascondeva, lo vidi nell’azzurro del cielo puntare sull’altro costone lo Stavolo Pustot m 1091 IGM.
Niente, e nonostante i miei richiami e il gesticolare delle braccia.
Così decisi di continuare la discesa per il Costone cercando qualche possibilità per scendere e trovare il sentiero per la detta Casera, e o qualche soccorritore.
Era la giornata giusta perché più avanti iniziava un canale detritico che prometteva.
Non ci pensai due volte e passai su quello; e stando poi attento alle frequenti diramazioni, e fino a incrociare il sentiero giusto.
Sì e no; e scesi fino a uscire sul comodo sentiero, e quasi investendo un pastore tedesco, e con la fascia bianca e croce rossa; e subito dietro il conducente.
Sì; e quasi incredulo perché ci conoscevamo da anni, e poi del nostro Gruppo Rocciatori.
Non perdemmo un minuto; e subito telefonò il ritrovamento… ed è in ottima salute.
L’elicottero ci aspetterà sui pascoli della sella del Monte Lubiton (Glubiton IGM).
Grazie al Soccorso Alpino!
Piantina