Trieste, 1 aprile 2022
Croda di Ligonto – Monte Rosa 2786 m.
Non mi ricordo se anche negli anni passati c’è stato, ma certamente sì di questo 1973, nel quale ben due Festività, cadendo di sabato e abbinate la Domenica, ci hanno permesso la prima di preparare la salita invernale alla Cima d’Ambata, e la seconda di raggiungere finalmente la tanto ambita Cima della Croda di Ligonto o Monte Rosa.
Solo che anche questa volta non ricordo se nell’occasione della Festività di San Giusto, protettore della nostra città, avessi già programmato e dove la Gita di due giorni per l’amico Canciani Guido, e dove; ma la non riuscita salita alla Cima nell’occasione della salita nel mese di settembre con l’amico Sergio Hrovatin, non poteva che essere la Croda anche perché ero sempre lì con il pensiero.
Poi a mantenermi il sangue caldo c’è stata anche l’avventura sulla Cima Piccola di Lavaredo con gli alpinisti bulgari; e la garanzia che dopo su quei monti non ci sono state altre precipitazioni.
Così quella mattina andammo con la FIAT 850 dell’amico Marega Luciano, e che immancabilmente s’era aggregato ben volentieri per conoscere quei Monti a lui sconosciuti.
La solita sosta ad Auronzo, e di seguito al posteggio ai Prati Orsolina.
Giornata eccezionale per quel mese, e così senza furia, in allegra compagnia, ridendo e scherzando dai Prati Orsolina in sei orette arrivammo al Bivacco Gera nell’Alta Val d’Ambata.
Sorpresa perché lì dentro trovammo due giovani di San Donà di Piave, quasi nostri coetanei e non alpinisti, saliti fin lassù senza una meta precisa?
Cicola e ciacola, furono subito disponibili al dialogo come “muli de compagnia”; e dopo la cena saltò fuori un mazzo di carte e c’invitarono a sfidarli; Tre Sette e Briscola, e mettendo sul tavolo una mezza bottiglia di grappa. Poi c’informarono anche che sono tra i migliori giocatori della loro cittadina forse per intimorirci; ma noi accettammo la sfida anche perché c’è sempre del campanilismo con quelli che vivono nella zona di Venezia.
Guido é bravo nei due giochi; Luciano, l’indeciso, sì e no, e così entrai io che conosco quei giochi solo come passatempo. Così iniziammo a giocare guardinghi e timorosi verso una sconfitta annunciata. Sarà stato l’impegno profuso e l’aiuto della montagna, ma noi vincemmo tutti i due giochi; e “la trapa”, passata di mano, finì scolata ben presto tra tutti. Doveva essere anche di buona qualità perché c’invoglio al canto e a lungo.
Il Bivacco, per chi poi sale alla Croda, è decentrato; così quella mattina, dopo aver salutato i due giovani, facemmo a ritroso e perdendo quota la Val D’Ambata fino al bivio con il sentiero per la Val di Dentro e Forcella Paola.
Così lo seguimmo agevolmente fino ad entrare nel solco della Val di Dentro dove iniziò ripido e mal tracciato, e cosi fino al pascolo sovrastato dalla parete Est della Croda.
Sulla sua alta erba ancora verde sostammo a lungo anche per vedere le Montagne e pareti che lo circondano; e che i miei amici vedevano per la prima volta.
Si, e tutto questo in quella meravigliosa mattina dove risaltavano le luci e ombre; e a seguire tutti i colori sotto un cielo blu.
Faticosa fu la salita per valicare la piccola Sella che porta sotto le pareti della Croda; e che la intuì la prima volta scendendo dalla Croda senza tracce di passaggio o altre indicazioni per la salita.
Così senza esitazioni raggiungemmo lo sbocco del canalone che è la direttiva della salita; e dove la dentro la Montagna cambia.
Così lo salimmo lentamente prestando attenzione a non smuovere i tanti detriti sparsi sulle facili e brevi pareti e cenge.
In alto volgemmo a destra seguendo un canalino gradinato e fino sotto la conosciuta parete finale strapiombante. Sì, perché sbagliando s’impara e la sotto non potevo più sbagliare e seguire a destra le invitanti cenge come l’altra volta.
Già prima avevamo fatto il punto; e sulla parete vedemmo ben mimetizzato il possibile passaggio per poi montare sulla cresta.
La volta precedente invece non la notai: mistero!
Non ci restò, come sempre consigliava l’amico Guido, de andar a veder.
Superai così la corta parete, e la sopra a seguire la spaccatura – diedro nascosta che mi portò su un abbassamento della cresta qui innevata, e da dove vidi più possibilità per continuare anche se non capivo quale fosse la Cima.
Informai gli amici, e per non perdere tempo sciolsi la corda, e una volta riuniti decidemmo di seguire la cresta evitando per il pendio innevato; e la seguimmo in tanto spettacolo fino al punto più elevato: 4 novembre 1973.
Era dall’estate del 1961 che avevo promesso di salirla!
Ritardai anche il ristoro per fotografare la grande indimenticabile giornata.
Costruimmo anche l’ometto; solo un segno. In tanta purezza uno più grande avrebbe stonato.
Breve fu la sosta; ci accorgemmo d’aver impiegato più tempo del previsto per la salita e così a malincuore …
La sosta avrà raffreddato i muscoli a qualcuno che chiese subito la sicurezza della corda; o era quell’immenso spazio che dava vertigine?
Certo che le valli strette già nelle tenebre contribuivano al gioco.
Così solo una volta sulla cengia che la corda ritornò nel sacco.
Alla fine del canalone ci fermammo per una pausa sulle cenge coperte d’erba secca e bruciata dal gelo; io un poco appartato sopra una balza erbosa.
I due amici intanto se la contavano fra loro mentre io guardavo la parete finale della Croda illuminata dal sole; e sentivo il suo calore riflesso sulla faccia accarezzata dalla fresca brezza serale montante, e che ascoltavo la musica dell’erba ondulante.
Certo, avevo mantenuto la promessa e con la coscienza a posto come un beato.
Il “Tullio te vien” dei compagni che avevano iniziato a scendere mi richiamarono alla realtà.
Il posteggiare ai Prati Orsolina era l’occasione nei ritorni per andare a salutare Armando Vecellio che aveva la casetta subito la sotto. Il più delle volte, anche perché si faceva tardi, senza scendere, e lui gli ricambiava dalla finestra. D’estate questa possibilità era quasi impossibile perché lui girava per il suo Campeggio.