Trieste, 1 ottobre 2015
La riuscita e l’entusiasmo di queste non facili Gite furono per i miei amici de Gita da sprone ad osare di più, e tanto da voler mettere in programma la salita del Monte Bianco.
- Orpo! Sì, non me l’aspettavo, anche perché non avevamo mai parlato di questa possibilità?
Solo che loro volevano la mia risposta; e fiducia per fiducia non mi restò che accettare l’impegno.
Solo che la primavera di quell’anno stentava ad arrivare sulle nostre Montagne, e le Gite preparatorie per il Monte Bianco alla fine si potevano contare con le dita di una mano; e tanto che la prima fu la più impegnativa.
Tra le Montagne che ambivo salire e che rimandavo per l’occasione giusta, era la Croda da Campo 2712 m, e staccata dall’Aiarnola dalla Forcella Valdarin m 2428.
Sì; Gita ideale per prepararsi per il Monte Bianco, così mi dicevo, e tanto più conoscendo la strada bianca per l’approccio; e da farsi nella giornata.
Così desiderò anche partecipare l’amico Armando Cossutta, e mettendo a disposizione la sua automobile.
Solo che una volta al Passo di Monte Zovo, e senza vedere niente, girare la macchina e tornare a Trieste sarebbe stata la cosa giusta; ma non per chi ambiva al Monte Bianco!
Così e posteggiata la macchina, noi scendemmo verso il paese di Padola alla ricerca della strada bianca. – Xe fata. Sì, e con tanta segnaletica.
Cammina e cammina diventa sentiero e dove più avanti, forse, trovammo un bivio e credo con le rispettive indicazioni.
Probabilmente non c’era quella per la nostra Meta, e credo invece quella per la Forcella Valdarin m 2428; e tanto che perso per perso la cosa giusta era di tornare sull’Aiarnola conoscendo poi la discesa; e così decidemmo.
Solo che per non far fatica, e anche perché visibili, seguimmo i tratti innevati e così fino a vedere un canale che tirava su dritto? Sì, e poteva anche essere quello per la nostra Forcella; e via.
Più avanti il canale si sperde tra friabili salti rocciosi alternati da ripiani nevosi, e dove cercammo il percorso più facile marcando le nostre tracce perché non si sa mai.
Così arrivammo anche su una Cima con una piccola Croce metallica formata da cerchi di varia misura; e così avanti e fino intravedere un ampio pendio innevato.
Lo riconobbi subito; e con l’ultima tirata ci aspettammo in Cima: 15 giugno1980.
Solo che prima della discesa nel dubbio che la fotografia scattata non fosse ben riuscita c’è quest’altra.
La discesa facilitata dall’ottima neve non ha lasciato ricordi, e cosi anche per il sentiero ormai senza neve. Solo che questo attraversa un’ampia radura erbosa con due o tre costruzioni con fienile, e senza prestare attenzione prendemmo un altro.
Ben presto m’accorsi dello sbaglio, ma gli altri preferirono continuare e uscimmo in basso sulla strada asfaltata.
Niente; saliremo al Passo per questa; e ci consolammo pensando al Monte Bianco.
Dopo la Gita nel Gruppo del Monte Bianco, e presente nel blog, gli amici e colleghi d’ufficio non mi chiesero più d’organizzare delle altre anche se spesso ricordavamo quelle fatte; e così fino nel mese d’ottobre 1981, e contando sulle Festività dei primi giorni di novembre.
Creta Grauzaria 2065 m
Non mi ricordo se era già nei miei programmi; ma ero uso in quei giorni ricordare gli Amici caduti salendo una Montagna, e con l’amico Cossutta già si parlava della Creta Grauzaria per la via normale da farsi nella giornata.
Sì, e che la confermammo con l’adesione dei fratelli Grio.
Giornata bella e fredda, e ideale per camminare nella neve già dalla Malga Flop.
Solo che nell’ombra scura nessuno scattò qualche fotografa, e le prime appena dentro il canalone Nord.
Sulla neve gelata noi preferimmo dove possibile procedere con lunghi zig zag per non stancare le gambe.
Così uno de qua e uno de la e fino al Portonat per la sosta con vista del Canalone Sud. Così anche fare il punto per l’attacco della via normale.
Sì; dalla neve, una scura e corta parete verticale sottostante una cengia a rampa innevata.
Allora fuori la corda di 55 metri che usavo per le salite invernali; e tutti con il cordino legato in vita con moschettone perché procederemo nei tratti esposti assicurati dalla corda, ed in primis la detta parete che poi nessuno fotografò il via vai per superarla.
Una volta riuniti, e senza la sicurezza della corda, seguimmo la cengia innevata e l’evidente rampa poggiata fino a vedere e capire per dove iniziare la salita.
Sì; e che affrontai aggirando le difficoltà cercando i tratti poggiati, e fino ad un promontorio per una pausa e valutare per dove continuare.
Solo che dal promontorio verso Nord risaltava la Creta di Aip e a Sud la Valle del Tagliamento.
Così, e d’accordo, ripresi a salire poggiando a destra e al sole, e con l’ottima neve, cercando proprio i risalti anche se esposti.
Poi i tratti di parete soprastanti sono verticali; e tornammo legarci in cordata.
Così poggiammo a sinistra sullo spigolo puntando la parete incombente.
Sì; e la sotto c’era una cengetta che m’invitava a proseguire a sinistra. Il tempo d’iniziare ad aggirarlo con attenzione… e ferma tutto.
Dall’altra parte e nell’ombra scura c’era un ripido nevaio sospeso.
– Orpo! Sì, e tanto che stavo per rinunciare a proseguire; poi, e passato il momento critico, procedetti di qualche passo per provare la consistenza della neve: ottima.
Sì e no; e rassicurai gli amici preoccupati dalla mia fermata mentre levavo dal sacco il martello e un chiodo per far più sicuro il precario terrazzino; e invitai Armando a raggiungermi per farmi sicurezza.
Sì; perché il terrazzino era precario per tutti e quattro; mentre oltre il traverso c’era quello che giudicavo adatto per far sicurezza anche agli altri; e via anche marcando la traccia per tutti.
Così i due traversarono il nevaio sospeso assicurati da noi due.
Armando non mancò tra le due, di fotografare la parete da salire.
Una volta riuniti riprendemmo la salita tenendoci presso la parete per non avere altre sorprese e seguendo sempre i risalti innevati, e così fino a vedere la parete incombente sottostante la Cima.
Solo che la neve meno ripida c’invitava a poggiare a sinistra; e per questa raggiungemmo la Cresta SO, e che in alto sembrava difficile, e tanto anche perché affiorava la stanchezza, e la faremo assicurati uno per volta conclusi.
Scelta giusta perché dopo il tratto senza ostacoli iniziarono le brevi pareti, e che le aggirai un poco per de qua e un poco per de la e fino ad un posto comodo dove far sicurezza. Così il primo a raggiungermi fu Armando per aver tempo di fotografare.
Verso il fondovalle nell’ombra scura
Creste e Cime importanti del Gruppo.
Così, e mentre assicuravo la salita degli altri, lui scattò queste fotografie.
L’ultimo a salire volle essere Mario perché il più provato.
Sì; e che lo aspettammo per salire insieme sulla Cima: 1 novembre 1981.
Monte Sernio con i Gruppi del Coglians e delle Cjanevate
Cresta di Confine con l’Austria
Monti Cjavalz e Zuc dal Bor e retrostante il Jof di Montasio
L’ultimo saluto al Monte Sernio.
Solo che per velocizzare la discesa ricorsi alla corda, e uno per volta.
Poi restammo legati procedendo in conserva anche per non dover legarci nei tratti esposti come il traverso.
Da dove Armando scattò per regalarmi la panoramica della Cresta della Palasecca e del Cuel Mauron che aspettavo di visitare.
Così anche per la discesa non facile della paretina finale alla luce dell’imminente tramonto che richiese del tempo.
Una volta alla base della parete non ci demmo furia, e sistemammo il materiale nei propri sacchi rivivendo i tratti della salita che più ci avevano impegnato; e via, ma non di corsa alla luce del tramonto.
Lo stesso all’uscita del canalone la luce del crepuscolo illuminava ancora la parte alta della parete della Sfinge.
Sì, meritava.