Trieste, 1 giugno 2015
Un giorno, e mentre rivedevo gli ultimi due racconti su questa Montagna, e più precisamente nel tracciare sull’immagine la discesa lungo il versante Sud per raccordarsi alla via normale …
- Orpo. Sì, perché di questa avevo raccontato e documentato poco anche se percorsa più volte sia in salita sia in discesa.
Fortuna volle invece che quel giorno noi scattammo una discreta documentazione; solo che io all’arrivo delle diapositive, e dopo averle viste di sfuggita, fui convinto che erano mal riuscite, e non le guardai più, e invece …
La via normale del Jot Fuart m 2666
Il bel tempo perdurava ancora in quel mese, e così cicola e ciacola decidemmo per la fine settimana di tentare la salita anche se c’era stata una nevicata nei primi giorni.
Posteggiammo la macchina nella Val Rio del Lago per salire la strada bianca che in caso di neve non presenta nessuna difficoltà; e via.
Non la trovammo; e così anche alla vista delle Madri dei Camosci, e sul terrazzo erboso dove é costruito il Rifugio Guido Corsi m 1874.
Lo stesso una volta in quota con l’anfiteatro che lo ospita circondato dalle Madri dei Camosci con la Cima Alta 2518 m, La Torre 2503 m, l’Innominata 2463 m e Cima di Riofreddo 2507 m.
Così anche non la trovammo sotto la Parete delle Gocce dove facemmo la scorta d’acqua.
Più avanti la mulattiera, quasi orizzontale, contorna la base dell’Ago di Villacco cambiando versante; e dove trovammo la prima neve e man mano sempre più alta sotto il Campanile di Villacco 2247 m.
Una volta nell’anfiteatro la mulattiera perde quota per poi puntare il Rifugio. Niente; e noi continuammo dritti puntando la Forcella Mosè m 2271, che risaltava nel cielo blu.
Solo un tratto per poi prendere a destra la traccia d’approccio alla via normale del Jof Fuart ben intuibile nella neve.
Ancora meglio una volta sotto parete del Monte e al sole, in contrasto con quella delle Cime Castrein 2502 m ormai nell’ombra scura.
Nel primo tratto della salita non scattai fotografie perché impegnati tra neve e ghiaccio, e così fino all’uscita della rampa canale.
Sì, quella che si raggiunge sia in salita sia in discesa lungo la cengia erbosa e detritica dagli itinerari del versante Ovest; per l’appunto.
Quel giorno la neve copriva tutto il versante soprastante della Montagna lasciando a noi la scelta del percorso.
Così poggiammo a sinistra dove il pendio è meno ripido; poi a destra dove la neve ci offriva appoggio sicuro per i piedi; e poi un poco per de qua e un poco per de la e fino a vedere e capire che ci conveniva salire poggiando a sinistra verso la Cima.
Avevamo calcolato giusto perché raggiungemmo la cresta rocciosa; e dove l’amico Armando trovò una piazzola per la sosta dichiarando di non voler più proseguire per la stanchezza.
Niente; e nonostante gli incoraggiamenti a proseguire perché eravamo presto in Cima. Sì e no; e ripresi la salita anche per sincerarmi la possibilità.
Sì; e sulla neve la in alto sprofondavo fino ai polpacci e già davo ragione ad Armando.
Così mi promisi ancora un tratto; e via con fatica.
Lassù la cresta diventa meno ripida, e presto orizzontale; e da dove la vista della Croce c’incoraggiava a continuare. – Armando, xe fata; vedo la Croce.
Non lo ripetei due volte; e riuniti percorremmo i sali e scendi della cresta ancora increduli.
Sì; meritava: 21 novembre 1981.
Verso i Monti della Slovenia con davanti le Cime di Riofreddo, del Vallone, la Forcella e la Cima di Riobianco.
Foronon 2531 m e Modeon del Buinz 2554 m
Il Jof di Montasio 2753 m, con retrostante il Monte Cimone 2379 m
Il sole calante non ci concedeva altro tempo; e fatto il bottino di fotografie non ci restò che seguire la nostra marcata traccia, e fino alla cengia basale e anche veloci.
A confermarcelo la Cima e Forcella del Vallone illuminate dal sole; così potremmo scendere tranquilli.
Scendendo il conosciuto Campanile di Villacco 2247 m, illuminato dalla luce riflessa.
Il Sasso Nero 3369 m
Non mi ricordo; ma credo che a propormi di tentare la sua salita sia stato proprio l’amico e compagno di varie salite Sergio Hrovatin in quei giorni in ferie.
Così una volta a casa mia, cicola e ciacola volle unirsi a noi anche l’amico Valerio Coslovich, il marito e papa della famiglia con noi la seconda volta a Ca di Pietra in Valle Aurina; e saltuariamente anche compagno de Gita, per l’appunto.
In quel periodo della stagione il tempo era sempre incerto, ma confidando nella fortuna fissammo il tentativo nei giorni 6 e 7 agosto.
Così il primo giorno posteggiammo subito sopra la frazione di Lutago di Sopra, e nelle prime ore del dopopranzo perché per il Rifugio Vittorio Veneto m 2922 s’impiega circa cinque ore.
Il tempo era bello anche se nuvole vaporose prendevano possesso delle Cime più alte, e man mano che noi prendevamo quota sempre più minacciose fino a piovere; ma poca cosa.
Intanto eravamo arrivati alla base di una bassa cresta, e dove uno degli altri due notò un segno rosso sulla parete levigata. – Orpo, e ferma tutto.
Sì e no a decidere sotto la pioggia e la scarsa luce; e decidemmo di seguirli.
Così entrammo in uno stretto canale seguendo i segni rossi un poco per de qua e un poco per de la per delle scanalature attrezzate nei passaggi difficili con cavi e supporti metallici; e fino ad uscire su un pianoro detritico che ci portò al Rifugio; e proprio prima del diluvio.
Una volta entrati la sorpresa è stata che c’era anche il riscaldamento, ed intorno per mettere gli indumenti ad asciugare.
Prima del crepuscolo il temporale aveva raggiunto le Dolomiti; e noi e qualcun altro dei presenti uscimmo a vedere lo spettacolo. Sì; e per me la prima volta vedere che il temporale doveva essersi frazionato perché i fulmini si scaricavano in quattro o cinque zone diverse.
La mattina presto il cielo era quasi sereno; e non perdemmo tempo dopo la colazione a metterci in marcia anche se per la salita bastano circa due ore; ma temevamo il possibile peggioramento del tempo.
Così anche fotografai l’unica Montagna libera dalle nuvole vaporose e al sole credendola il Sasso Nero.
Solo una volta in possesso delle diapositive capì dello sbaglio; è invece la Punta del Balzo (Felsköpfl) 3235 m, e si raggiunge nella salita; per l’appunto.
Non perdemmo altro tempo, e dietro il Rifugio e sull’ampia spalla coperta da massi dove è tracciato il sentiero, per noi anche la prima sosta al sole per la foto ricordo.
Superato il tratto disagevole iniziò la neve; e anche se in disfacimento, la traccia ci guidò ad incrociare un’indicazione, e dove noi seguimmo la traccia verso sinistra.
Poi lungo una ripida cresta nevosa esaltata dalle sottostanti nuvole minacciose montanti.
Così raggiungemmo un falsopiano sottostante una scura parete delimitata a sinistra dal ripido nevaio della cresta, e difesa da una colata di massi.
Non era il massimo; ma la traccia poggia a destra proprio e dove la detta colata è ripida e caotica?
Raggiuntola seguimmo con attenzione le tracce di passaggio tra i massi instabili dove Sergio procedeva lento; e mentre Valerio era già nel diedro di neve e roccia.
Così noi due dalla cresta incoraggiammo Sergio che proseguiva sempre con il suo passo; poi una volta riuniti seguimmo la traccia sulla Cima rocciosa della Punta del Balzo.
Solo toccata e fuga; e dalla Cima scendemmo in Austria, e sul ghiacciaio innevato e quasi livellato; e che lo percorremmo lentamente, e non mai contenti di tanto spettacolo.
La traccia poi gira a sinistra, e prende quota puntando le scure rocce della cresta affioranti dalla neve e ghiaccio; e dove noi un poco per de qua e un poco per de la arrivammo sotto la Croce della Cima: 7 agosto 1996. Sergio Hrovatin, Valerio Coslovich e Tullio Ogrisi.
Solo che le inquietanti nuvole che s’erano fermate per consentirci di salire la Cima, ora stavano montando veloci.
- Orpo; e subito fotografai quello che vedevo intorno, e senza una Montagna conosciuta di riferimento.
Così verso Est i Monti della Val Aurina.
Verso Sud il Mesule ed il Gran Pilastro.
Verso Ovest ancora Monti sconosciuti dell’Austria. Poi soddisfatto del bottino fotografico me la presi comoda; e la sosta fu anche lunga tanto bastava seguire le nostre tracce.
Intanto non eravamo più soli per l’arrivo d’altri alpinisti di lingua tedesca, e uno di questi ci scattò la foto ricordo; e via.
Trovammo le prime nebbie in Italia, e verso il Rifugio anche un poco di pioggia. Pertanto niente sosta lunga; ma sì qualcosa di caldo.
Così e senza darci furia anche decidemmo di scendere comodi per il sentiero presto pulito di neve e ghiaccio.
Il Sasso Nero era ormai nascosto dalle nuvole; e come quella mattina presto, restava l’unica Montagna ancora rischiarata da un pallido sole: la Punta del Balzo (Felsköpft)
per l’appunto.