Trieste, 1 marzo 2015
Non mi ricordo dove e quando lo lessi o sentì il nome; ma per quanto poi è successo nella tarda mattina del 29 giugno 1956, quando una valanga di neve investì nella Gola Nord Est i cinque miei amici intenti a salirla travolgendo tre, non lo dimenticherò.
Foto recente della lapide a ricordo
Sì; e negli anni successivi avrei voluto trovare la possibilità di ricordargli nelle nostre Alpi Giulie. Invece l’occasione si è presentata nelle Dolomiti Orientali, e lo ho raccontato nel mio blog d’aprile e maggio 2008.
Lo stesso in quei primi anni non persi l’occasione di salirlo, e la prima volta proprio per la detta gola; e che ho raccontato la salita nel mio blog di gennaio 2010.
Ripubblico la salita contando sul corredo di fotografie scattate in seguito dal mio amico de croda Armando Cossutta.
Panoramica di Valbruna del 1954
Nell’anno 1960, tra le Gite Sociali della XXX Ottobre in programma per quel mese, la prima comprendeva la sosta per la notte nel paese di Valbruna.
La Gola Nord-Est
Tra i tanti giovani che gironzolavano per la Valle in quella stagione, uno era amico del grezo Benito Zaccaria che lavorava in ufficio con la sua sposa. Così una mattina di quella settimana, e prima che entrassi sul lavoro, lui me lo presentò: – Tomaselli Franco… e te lo racomando!
Quella sera dormimmo con la Gita Sociale alla Casa Alpina di Valbruna; e la mattina presto c’incamminammo veloci per arrivare al Rifugio Luigi Pellarini m 1499, base di partenza per poi salire il Jof Fuart 2666 m, lungo la gola Nord-Est, e che avevo scelto per quella Gita anche non conoscendola.
La parete Nord Est del Jof Fuart ed il Piccolo
Al Rif. Pellarini, e dopo quella tirata, la sosta era d’obbligo, ed entrammo.
Nella piccola sala ristoro, uno dei pochi tavoli era già occupato da quattro alpinisti.
Al nostro salve volsero il loro viso verso di noi per rispondere; uno era Giuliano Perugini che indossava una maglia di colore rosso arancio. Degli altri, forse, qualcuno per averlo visto in Val Rosandra.
- … e andiamo a fare lo Spigolo Nord-Est del Jof Fuart.
Erano alla fine della colazione; ancora i saluti con l’augurio d’incontrarci in Cima o nel ritorno in Rifugio.
Il tracciato per una migliore leggibilità
Lungo la salita sul Piccolo Jof
Uscimmo anche noi, e seguimmo il sentiero che avvicina alle pareti, e dove più avanti non le puntammo dritti, ma volgemmo verso la Sella Nabois per poi traversare verso il Piccolo Jof. La scelta ci dette ragione, ed il traverso fu meno ripido. Solo che l’ultimo tratto era ancora coperto di neve gelata; e non mi restò che calcare le mie orme perché Franco non scivolasse.
Poi seguimmo tracce di passaggio, e a sinistra fino ad incrociare uno stretto caminetto attrezzato con gradini di legno. A seguire un canalino, e poi senza percorso obbligato alla quota 1980 m del Piccolo Jof; e ottimo belvedere e ideale per la sosta.
Così anche gli cercammo sulla parete ben illuminata dal sole, e anche se in quattro erano già alti sulla parete e tendevano verso lo spigolo con il primo in maglia rosso arancio.
Dal Piccolo Jof la parte poggiata della Gola
Ci salutammo con i nostri ripetuti ooh-plop, e scendemmo entrammo nella Gola.
Il tempo d’entrarci e la nuvola se n’era andata; e in quella bella giornata di luce non trovammo difficoltà a procedere.
La parte alta della Gola
Non ho ricordi della salita lungo la Gola perché intento a controllare il procedere dell’amico, anche se nei tratti difficili trovavamo sempre qualche resto della guerra come gradini di ferro o altro che ci facilitò la salita.
Così un poco per da qua e un poco per de la e fino che vedemmo per dove uscirla.
Sì, perché quello che prima vedemmo non era il massimo.
Volgemmo allora in quella direzione, e una volta fuori trovammo una buona cengia e dove sostammo anche per fare il punto della situazione.
Non sarà stata drammatica perché mi ricordo solo che stiamo rimontando con fatica il cupolone gradinato dove anche incrociammo alcune caverne artificiali; e l’arrivo in Cima: 7 agosto 1960.
Eravamo soli; e calcolammo perché eravamo stati lenti, e tanto che i quattro fossero già scesi per la via normale. Questo pensiero limitò anche la nostra sosta; e iniziammo anche noi scendere per la via normale programmata; e poi con il lungo giro per i ripidi versanti in salita che in discesa le sconosciute Forcella di Riofreddo m 2180, e la Sella Carnizza m 1767.
Noi eravamo già scesi da quest’ultima, e puntavamo il Rifugio quando ricordai della sorgente; e così traversammo a destra per andare a bere la fresca acqua.
Una volta ristorati e per non perder tempo scendemmo dritti per il suo canalino fino sul sentiero a valle dello stesso.
Allora pensai che Franco essendo prima volta desiderasse la sosta in Rifugio; e volgemmo in quella direzione.
Il sentiero in quel tratto ha uno slargo, e questo era occupato da un contenitore metallico per una salma in uso dal Soccorso Alpino?
- Orpo! Sarà per qualche esercitazione concludemmo nel vederlo così abbandonato. Entrammo in Rifugio … e l’amico Giuliano era nel contenitore; mentre i soccorritori erano nell’attesa di rinforzi.
Per noi la malinconica e veloce discesa a Valbruna.
Lo Spigolo Nord-Est
La salita dello spigolo in quelli anni era molto ambita; e così una sera in Sede, cicola e ciacola e mentre con gli amici ci raccontavamo le nostre salite appena fatte e recenti, con l’amico Luciano Marega ci accordammo di salirlo per la fine settimana.
Quel tardo pomeriggio al nostro arrivo in Valbruna vedemmo le Montagne a chiuderla avvolte da nuvole vaporose che non promettevano certo bel tempo; ma ormai eravamo lì, e tanto valeva andare in Rifugio per il pernottamento.
Vi arrivammo che era presto sera; e nella saletta c’era poca gente, e in un tavolo Virgilio Zuani e Pipo Maiani conosciuti frequentatori della Val Rosandra, e sono lì anche loro per lo spigolo.
Noi due eravamo ancora intenti a cenare in un altro tavolo che ci salutarono con la buona notte, e d’incontrarci domani lungo la salita o in Cima.
La mattina anche se non era proprio presto gli trovammo nella saletta già pronti per l’impresa. Ancora gli auguri per la salita e di trovarci in Cima; e via veloci.
La nostra parete
La Madre dei Camosci
Noi due non restammo indifferenti al loro agire, e finita la colazione non perdemmo altro tempo dandoci furia anche perché fuori vedemmo il cielo coperto e le Montagne spente e senza colori; e via.
Noi non gli vedemmo e sentimmo, e una volta usciti dalla vegetazione evitammo anche di chiamarli.
La parete con il tracciato della via
Il percorso d’approccio è quello per la Gola; ma il traverso invece è a destra dove alla base della parete inizia il canalino che facilita l’accesso alla cengia d’attacco ancora innevato. Poi non ho altri ricordi a conferma d’aver presa la cengia giusta.
Sulla parete difficile
Intanto il tempo era migliorato; e la luce del sole ci aiutò a capire dove innalzarsi e traversare sull’altra parete dove avvenne la caduta dell’amico Giuliano.
Proprio ci voleva perché in quel tratto di salita il mio procedere s’era fatto più accorto e frenato.
L’Innominata e la Cima di Riofreddo
Una volta superato mi fermai a far terrazzino per assicurare l’amico anche vedendolo.
Poi girammo uno spigolo per una stretta cengia solo un tratto perché dovemmo fermarci per studiare la parete da salire non visibile dal Rifugio.
Non era il massimo e… Niente; dovremmo cercarsela la via di salita anche perché non sentivamo la presenza dell’altra cordata anche se sulla cengia tracce fresche di passaggio portavano all’attacco della detta parete.
Innalzamento non facile
Così iniziammo la seconda parte della salita cercando di seguire le meno difficili pareti e camini tendendo allo spigolo; e per questo fino ad essere costretti a passare a sinistra in un canale.
Sì; e per questo oltre il Monolito a guardia e alla forcella della cresta principale.
Riprendemmo la salita per la parte incombente, e a seguire per uno stretto e friabile camino si sperde sulla facile sulla facile parete dove senza un percorso obbligato salimmo sulla cresta principale. Sì; e che noi non conoscendola, e perché poco illuminata, preferimmo percorrerla ancora legati.
Più avanti anche veloci perché incalzati del peggioramento del tempo.
Restammo sorpresi invece perché in Cima trovammo Virgilio e Pipo che ci aspettavano per avere la coscienza a posto: 2 agosto 1970.
Così alla nostra intenzione di scendere per la via normale, e poi fare il giro per la Forcella di Riofreddo e Sella Canizza, l’esperto Zuani ci consigliò per la Gola NE che loro sono pronti a raggiungere; un attimo ancora e via nella nebbia incombente e sempre più fitta.
Noi due lassù, e senza vedere niente, finito il minimo ristoro scendemmo in quella direzione.
Solo che per noi nella nebbia non fu facile poi seguire le poche tracce di passaggio e i rari ometti.
Così un poco per de qua e un poco per de la noi ci trovammo sulla cengia che porta nella Gola; e giusto in tempo perché la pioggia era ormai stanca d’aspettare.
Per nostra fortuna senza scariche elettriche; e anche se nella Gola l’acqua scorreva copiosa non rallentò la nostra discesa.
Solo che alla fine della parete del Piccolo Jof, e dove sotto il nevaio sciolto c’era il ghiaccio, traversarlo non era stato facile.
Il ritorno
Nell’anno 1975 avevo iniziato a salire le Montagne con Armando Cossutta, e valutata nel tempo la sua capacità e sicurezza su quelle, gli proposi un giorno la salita dello spigolo da lui ambita; e la mettemmo in programma subito dopo il Ferragosto.
Così quella mattina presto uscimmo dal Rifugio Pellarini, e per il solito percorso arrivammo all’inizio della salita, e quella volta senza neve.
Eravamo ben preparati, e superammo tranquilli la parete iniziale che porta verso lo spigolo, e a seguire per il canale obliquo in linea dello spigolo.
Una volta usciti, un poco per de qua e un poco per de la per brevi pareti e corti camini e un lungo traverso, giungemmo sulla conosciuta rampa obliqua.
Giusto solo il tempo per lo scambio d’opinioni su quanto fatto, e via fino sotto il punto di caduta dell’amico Giuliano, e dove misi un chiodo di terrazzino; e diedi voce all’amico di raggiungermi. Arrivato, affrontai la parete già salita lo stesso teso e accorto; e la sopra dal terrazzino lo invitai di raggiungermi.
Dal lento recupero della corda capì la sua attenzione, e arrivato andammo a fare la sosta sulla cengia inferiore dove scaricammo le nostre tensioni.
Riprendemmo la salita conosciuta, e favoriti dalla bella giornata non ci sono ricordi di difficoltà tranne il superamento di uno strapiombo nel camino di circa cento metri; e Armando nel primo caminetto friabile finale.
Solo che per la Cima restava ancora la lunga cresta arrotondata da me conosciuta. Così proposi all’amico di farla slegati. Non fu proprio convinto.
Lo stesso mettemmo tutto il materiale nei sacchi, e via, e sempre più sicuro e convinto fino in Cima: 17 agosto 1975.
Non mi ricordo se lungo la salita avevamo già parlato per la possibile discesa per la Gola; ma in Cima, cicola e ciacola lui era stanco e scarico, e preferiva il lungo giro in versante Sud, e il superamento della non facile Forcella Riofreddo m 2180 e della più bassa Sella Carnizza m 1767.
Sì; tanto avevamo tempo a disposizione, e nella traversata per la Forcella di Riofreddo ci tenemmo sotto le pareti per non perdere quota.
Solo che lungo la discesa della Sella Carnizza e alla vista della parete appena salita l’amico…
La parete Est del Jof Fuart
“Ero esausto per la fatica fisica e soprattutto per la profonda emozione estetica ambientale provata a quella vista. Così mi sdraiai in contemplazione dell’ambita visione del Jof, mio primo colpo di fulmine all’età di dodici anni in occasione della mia prima Gita Sociale con l’Alpina delle Giulie C.A.I. Trieste, sulla prospiciente Cima del Cacciatore 2071 m; e invitai l’amico e compagno de Croda a precedermi nella discesa al Rifugio Pellarini”.